giovedì 12 aprile 2012

bonsai

non riesco ad avere pazienza
le mie mani sudano al vento
quando perdo
tempo
quando perdo
tempo

-CC-

martedì 3 aprile 2012

il fine che non giustifica i mezzi

ci sono sere in cui capisci delle cose.
strano, non sono quasi mai giorni.
i giorni sono fatti per i processi lenti e sistematici; ma poi quando la mente si prepara a spegnersi arrivano le intuizioni. non è che siano sempre lampanti, ci vuole qualche attimo per accoglierle, nutrirle e assistere al loro sviluppo.
ma a un certo punto arrivano.
molte volte sono di poco conto, come l'aggancio mancante di una coreografia, ma altre.. altre ti investono con la loro ovvietà, e ti chiedi perchè ancora non c'eri arrivata, nonostante ci avessi ragionato su in passato innumerevoli volte.
probabilmente era giorno.

ci sono sere improvvisate senza neanche troppa convinzione, bagnate da un po' di rosso e ritmate dalla voce di qualcuno sul cui amore potrai sempre contare, in cui smetti di incolparti per i torti degli altri e allenti le bende sugli occhi quel tanto che basta per vedere che anche gli angeli mangiano fagioli.

- alle volte uno si crede incompleto, ed è soltanto giovane -

venerdì 9 marzo 2012

mi piace guardare da dietro le persone che camminano, e le gru in movimento


malcelata ipocrisia di volermi celare agli occhi del mondo osservandolo dallo squarcio di una corteccia. vedo le loro gambe, i cappotti sbottonati, le borse ingombranti a tracolla, la cadenza dei loro passi e poco altro. da qua non posso interpretare le loro espressioni, conoscere la reazione dei loro occhi accecati dal sole, non ne leggo il labiale. da dietro le persone sono meno faticose, non sbraitano e mi concedono il lusso di apprezzarle senza ricambiare.
qualcosa sta passando sopra la mia testa. alzo gli occhi, ma forse non dovrei.


non guardare il cielo mai. porta quasi sempre. forme di paralisi. per la mente.

martedì 7 febbraio 2012

effetto louis vuitton

non che solitamente sia una persona tollerante o ben disposta verso l'accettazione indiscriminata di qualsiasi individuo. e neanche così ingenua da non sapere quali infimi livelli può toccare lo spirito umano. eppure c'è un ambiente, questo della - come la chiamano loro - alta moda, che mi fa rivoltare lo stomaco. letteralmente. posso parlare ora che sono a pochi passi dalla fine del tunnel, so che i miei sforzi di sopportazione avranno una fine e, detto sussurrando, scalpito! certo perchè queste cose non si possono dire ad alta voce, guai se ti sentono fare smorfie di fronte a un (raccapricciante) disegno da migliaia di euro, o se non ti vedono recarti con accettabile frequenza a rifornirti di capi extrafirmati ed extrascontati perchè fai parte dell'elite che li produce. ci vuole una buona dose di autocontrollo per mantenere la calma di fronte a occhi lucidi che basiti provano a spiegarti quale grande opportunità sia aggiudicarti una pezza di cotone con su pataccate di loghi che in negozio troveresti rincarata di sei volte. non osare neanche pensare che tutti quei sedicenti stilisti li vorresti vedere dietro le sbarre, con accusa di furto e circonvenzione di incapaci. invece, in questo mondo al contrario, i criminali vengono venerati come divinità, e il solo fatto di pronunciare il loro nome con sufficiente disinvoltura sembra possa condurti all'estasi suprema.
no, pardon, quello non basta. l'altra attività largamente rinomata è l'uso della lingua. non ovviamente a fini sessuali nè sentimentali, qua l'amore assume significati aulici e platonici, ben al di sopra delle nostre carnalità da banali mortali. la lingua, appunto, ha due funzioni ben più fondamentali. la prima e indiscussa è quella di leccare, qualsiasi fondoschiena purchè si trovi quel decimo di millimetro più in alto del tuo. il pudore, la decenza, l'etica, il rispetto per sè stessi, la vergogna, l'umiliazione..... non esistono realmente, sono frutto dell'invenzione di gente poco ambiziosa, che si accontenta e si illude scioccamente che possa bastare la passione e l'onestà per raggiungere gli stessi traguardi. a questo punto, quando il lavoro di salvaguardia del sè è stato completato con cura, bisogna affrettarsi a sbaragliare la concorrenza. e qui, l'instancabile lingua, completa l'opera riversando badilate di fango (dai, diciamo fango) su tutto ciò che possa eventualmente intralciare il percorso verso la beatificazione. è un processo, questo, molto creativo. sarebbe noioso se effettivamente le persone meritassero le accuse che gli vengono mosse, per cui un costante lavorio di meningi riesce a produrre le condanne più deleterie. molto gettonate, ad esempio, quelle riguardanti l'aspetto fisico, l'abbigliamento e il presunto benessere economico. roba seria, insomma!
neanche a dirlo, le donne sono le regine incontrastate in questo olimpo marcio, che sembra acuire i loro peggiori e meschini sentimenti, a tal punto da contagiare anche l'altro sesso, quello che dovrebbe essere forte, e che alla fine dei giochi, per comodità e convenienza, si cala nella parte con tutte le scarpe (di marca ovviamente).

martedì 10 gennaio 2012

tantovaleammetterlo

sto invecchiando. gravemente.
ho venticinque anni da quasi un mese ormai e ancora devo riprendermi dalla notizia. venticinque maledizione! non è che uno vive per venticinque anni e poi fa finta di niente. bè, sì, ci ho provato, quello era il piano, ma non ha funzionato. un cadavere nascosto sotto un tappeto. me li sento proprio tutti appiccicati addosso, questi anni. credo mi donino anche, ci siamo amati e odiati con passione, ci siamo presi tutto il tempo di cui avevamo bisogno senza mai rassegnarci all'abitudine, ci siamo arricchiti a vicenda e vissuti intensamente.
ma alla fine dei giochi, quando arriva il momento, bisogna fermarsi, fare il bilancio dei danni e contare i feriti. ed è qualcosa di inaspettatamente doloroso. e ora che siamo qua cosa mi racconto? come me lo spiego che ho ancora bisogno di tempo, e che di tempo in realtà non posso prendermene ancora molto?
mi accorgo, guardandomi, di non essere più la stessa. ho smesso di sforzarmi, ho voluto farlo, ho lasciato che la mia intolleranza mi trasportasse su questo lembo di terra incontaminata e selvaggia, su cui cammino nuda e parlo ad alta voce, da cui non voglio scendere dopo averne conquistato a piccoli passi ogni centimetro. i giorni delle belle speranze e delle ingenue illusioni hanno lasciato solo una bava di malinconia che si sta asciugando al sole. ora ho piena coscienza di me e degli altri, so fin dove posso spingermi io, so dove possono arrivare loro. se i nostri traguardi sono vicini, continueremo a camminare insieme, altrimenti no. se vedremo il mondo dalla stessa prospettiva, potremo continuare a condividerla insieme, altrimenti no.
rispondo vagamente, con sincero e cortese distacco, ai languidi stucchevoli altruismi di convenienza. ho deciso che imparerò a seguire le regole, so essere civile e educata, ho imparato a recitare la parte e a tenere in ordine la facciata che i quotidiani rapporti formali richiedono. e questo è il mio limite, oltre non vado. falsi sorrisi per gente falsa, vuota, povera di spirito e di fantasia, che non sa mettersi in discussione e in compenso ha sempre qualche cattiva parola pronta per gli altri: non capisco perché dovrei sprecare con loro le mie energie, o anche solamente fingere di averne intenzione. sarebbe solo un danno per la mia già compromessa reputazione del genere umano, il colpo di grazia per la mia misantropia.
arriva il momento in cui finalmente i conti tornano, ti osservi e sorridi, allunghi le braccia e scopri che è già tutto là, a portata di mano, quello che ti serve per essere completa. va bene, non proprio tutto, ma quasi. in ogni caso sono abbastanza vecchia da essere in grado di rispettare i miei principi, ora vorrei solo sgombrare la mente, ma per quello dovrò inventarmi un nuovo traguardo, questo l'ho mancato.

domenica 11 dicembre 2011

io mi sento altro


Io con l'autoritratto non sono guarita, mi sono ribellata. La mia esperienza con l’autoritratto fotografico è nata per caso, almeno apparentemente. Lavoravo come modella, quindi abituata a essere immortalata e a rivedermi in un’immagine scattata da altri. Naturalmente, parlo di foto perfette, dove il corpo è solo un mezzo comunicativo. Un’immagine pubblicitaria non deve essere interpretata o capita, deve rimandare l’idea del bello, del perfetto, del risolto. Deve suscitare il desiderio di avere quell’abito o quella macchina, deve vendere una suggestione. Io stessa guardandomi in quegli scatti non mi riconoscevo. Ho avuto un percorso tortuoso e lungo di anoressia. Un periodo durato quindici anni in cui ho fatto del mio corpo la mia identità. «Piacere sono Anna, sono anoressica». Ho lasciato che per anni il mio corpo fosse la mia identità, un'immagine traballante e smunta che lasciava poco spazio all'interpretazione. Ma non solo. In me c’è sempre stata una domanda. Com’è possibile avere una visione così diversa di me e negarmi completamente, invece, davanti allo specchio? Così ho preso una macchina fotografica e ho iniziato a ritrarmi. Si ha bisogno di vedere il dolore in faccia per riconoscerlo, bisogna averlo proiettato davanti agli occhi. Finché non sei piegato a terra nessuno si ferma. Così io mi sono piegata e ho costretto l'amore a fermarsi. I grassi non piangono, i grassi ridono e fanno i giullari. A ognuno il suo ruolo, e spesso questo ruolo passa attraverso la nostra immagine. Io ero grassa ed ero grassa per lo stesso motivo per cui poi sono diventata anoressica. Non per somigliare a una modella, ma per andarmi a prendere tutto quello che una modella sembra avere o che ci fanno credere che abbia. Attenzione, cura, rispetto. Amore. Ero una bambina che soffriva già di nostalgie, pensavo a quando mio padre sarebbe morto e lo abbracciavo piangendo prima di dormire dicendogli «non morire». Sono cresciuta con un buco nero al centro del cuore e ho cercato di colmarlo con il cibo. Mangiavo per smettere di soffrire, per non sentire quel buco nero che divorava ogni inizio di gioia. All'ennesima pacca sulla spalla, però, ho smesso di mangiare e ho cominciato a digiunare. Più dimagrivo e più gli altri mi vedevano, più sparivo e più gli altri riuscivano perfettamente a focalizzare dove fossi. Questo è uno dei punti più pericolosi di questo male. Perché mentre cercano di farci capire quanto sia sbagliato non mangiare, stiamo ottenendo proprio quell'attenzione che bramiamo e la stiamo ottenendo proprio con quel mezzo che ci dicono essere sbagliato. Se dovessi spiegare brevemente l'anoressia direi che è un'assenza cronica d'amore, è prendere tutto il male del mondo e pensare di esserne la causa e l'effetto allo stesso tempo. È il sentirsi insufficienti all'amore, inadeguati per una vita "perfetta", perennemente a un passo dall'essere felici. Perché quella felicità non la merito, non so curarla. Nelle mie mani muore tutto. Forse nessuno ha avuto tempo per insegnarmi che il concetto di felicità non è univoco. Poi, un giorno, per caso e finalmente, scopro anche la fotografia. Ho appena lasciato mio marito, ho due bambini piccoli da crescere, mio padre è morto. Devo tornare in quel paese da cui sono fuggita. Non c'è nulla da scoprire, conoscere, se non me stessa. Bene. Il primo scatto che mi sono fatta era di prova, il secondo per capire come la luce si riflettesse sulla mia coscia. Non lo sapevo ma stava cominciando un viaggio meraviglioso. Autoritratto fotografico. Pensieri su pellicola. Pensieri sporchi e mal ridotti, pensieri da cui partire per cercare la mia sincerità e il mio perché. Ho guardato l'amore e c’ho visto un cane rabbioso che si attacca all'osso del cuore e mi sono perdonata tutto il male ricevuto. L'ho capito, forse, l'ho provocato anch'io in altri. Ecco, qualcosa si muove. Quella sensazione di disagio non sono io, ma è quello che gli altri mi hanno fatto credere, con modi e parole impercettibili. Un lavoro di anni, di frasi disseminate qua e là. Di insegnamenti subliminali. Io mi sono liberata fotografando le mie occhiaie, le mie tette appese, le mie ossa. Ho aperto quella gabbia di cui spesso ci lamentiamo, che ci uccide ogni giorno, ma che tutti in qualche maniera alimentiamo. La fotografia ha un grande compito.Le donne che fotografano se stesse o altre donne lo hanno. Rendere il proprio senso dell'amore, rendere una visione tridimensionale dell'essere donna. Invece, siamo le prime che «appena ho visto il mio cucciolo e l'ho stretto tra le mie braccia, l'ho amato all'infinito. Perché quando allatto è un momento così speciale». Devo sentirmi un mostro se io, invece, appena l'ho visto ho pensato «E adesso cosa gli racconto?». Ho pensato anche alla bellezza di quello che saremmo diventati, al miracolo di un nuovo amore da far crescere, ma che in quel momento era solo istinto e gioia . E che finalmente le contrazioni erano finite e il mio utero era tornato a una dimensione umana. Poi l'allattamento è stata un'ulteriore prova, perché rivolevo il mio corpo, le mie sigarette, il mio caffè, perché il capezzolo mi faceva male e la mastite mi tormentava. E perché pesavo venti chili di più e mi facevo schifo? E intanto non ero felice. Per niente. Nuova vita, nuove regole, nuovi ritmi. Posso avere il tempo di abituarmi? O intanto che trovo il nuovo equilibrio devo sentirmi in colpa, perché nel cambiare un pannolino non ci trovo niente di poetico? Siamo le prime che non si perdonano, che davanti a un caffè si raccontano balle, una gara a chi ha fatto la vacanza più chic. Guardatevi per prime, non aspettate che qualcuno lo faccia per voi, altrimenti sarete costrette a riconoscervi in una visione parziale, distorta, opportunistica. Per rifiutare tutto questo ho passato anni duri e senza sconti. La fotografia è stata un'amica, un'immagine di me che mi assolveva ogni volta. Ho smesso di guardare gli altri in relazione a me e ho iniziato a guardarmi in relazione agli altri. Ho imparato i miei gusti, ho rispettato i miei tempi, qualche volta non ce la faccio a fare nulla così chiedo ai miei figli di avere pazienza. E loro si sentono liberi di fare altrettanto. Fotografo l'assenza e riporto le persone a casa, mio padre su tutti. Fotografo la ruga, la pelle che sa di sigarette. Questa sono. Fotografo il mio corpo per arrivare a capire una sensazione dentro. Luce, contesto, inquadratura, non sono mai un caso, una ricerca, una premeditazione, sono sempre il risultato di quel momento. Spesso riesco a vedermi solo dopo giorni e giorni , eppure ho imparato a non disperarmi. L'immagine che ho di me, che gli altri hanno di me, s'incontra in questi scatti. Se tutti ammettessero invece di fingere, se tutti ci permettessero invece di esigere, forse ci sentiremmo tutti più belli, ognuno per quello che è davvero. Perché i mostri veri sono quelli che puntano il dito, che ti fanno sentire inadeguata, che ti fanno credere che esista un mondo perfetto, dove le mamme hanno il grembiulino a quadretti rossi e bianchi, dove si fa colazione come nelle pubblicità, dove le tovaglie sono tutte smacchiate, si respira odore di fiori d'arancio in ogni angolo della casa e i mariti tornano a casa stanchi e ci salutano con un bacio. Illusioni dietro le quali si arranca per tutta la vita. Una società in cui le donne non possono invecchiare, ingrassare, dove la lotta alla cellulite è la priorità e nelle pubblicità ci fanno parlare con la tazza del cesso complimentandoci per quanto sia linda e pinta e subito dopo un'altra in cui simuliamo l'orgasmo per vendere un'auto. Io mi sento altro. Niente è più amore che dire «non sono molto, sono quello che vedi, ma questo poco che sono ti ama totalmente». Se l'avessero fatto con me avrei risparmiato anni di vita spesi a cercare quella perfezione che non c'è neanche in chi la esige. E per quanto banale questo concetto possa sembrare, io spenderò il resto della mia vita a diventare quella che sono e a prendere un appunto quotidiano sui miei post it. «Sono già tutto quello che serve per essere amata». Poi se mi rimane del tempo mi spalmo l'anticellulite sulle cosce.

anna fabroni

Anna Fabroni (testo e foto) su Women Mag

mercoledì 23 novembre 2011

tempi duri per il femminismo

non c'è spazio non c'è più spazio non ci sta più niente tutto è già passato devono ancora succedere tutte le cose e già le ho perse forse non voglio camminare se poi non potrò fermarmi e mettere tutto in discussione sarà una valanga sarà così una gigantesca palla rotolante di respiri.
ho paura.
una fottuta paura.
e le dita troppo larghe.
ora conosco il panico e l'inerzia sono nervosa agitata molesta scontrosa ma non voglio che se ne accorgano devono continuare a credere che sia apatica così non faranno domande per cui non ho ancora inventato risposte convincenti non devo parlare per forza se voglio posso guardare per terra e usare la vecchia scusa.
oggi ho bevuto ricordi.
e un po' di Dom Pérignon ma era amaro.
a volte mi chiedo come sarebbe stato nascere nell'altra metà del cielo essere un uomo tornare a casa a piedi a qualsiasi ora della notte non riuscire a capire la malizia l'invidia la superficialità di continue lamentele l'insicurezza estrema forse dovevo nascere uomo avrei apprezzato molte più cose tutte le cose che non sarei riuscito a capire sarei stato indipendente senza dovermene giustificare diretto senza essere acido avrei continuato a guidare allo stesso modo senza sentirmi dire che guido come un uomo mangiare scopare come e quanto volevo senza essere considerato alieno invece di contemplare questa congenita debolezza e sentirmi così lontana e sconcertata dal mio emisfero.
non è più il caso di ostinarsi.
ora qualcosa - se lui vuole - potrebbe cambiare.

libertà

continuerò a farmi scegliere.

"Ho sempre voluto vivere la vita di un uomo nel corpo di una donna" 
Diane von Furstenberg

lunedì 7 novembre 2011